La multiculturalità cambierà solo l’assortimento?
Secondo i dati facilmente consultabili al primo gennaio 2023, gli stranieri regolarmente residenti in Italia sono 5,050 milioni, ovvero l’8,6% della popolazione totale. Rispetto all’anno precedente, la presenza straniera si è accresciuta di 20 mila unità (+0,4%). Considerando gli ultimi dati disponibili con il dettaglio per comunità, si evince che la comunità romena, con poco più di 1 milione di residenti (il 21,5% del totale degli stranieri presenti), è quella con il maggior numero di residenti. Seguono, con un peso demografico significativamente inferiore, la comunità marocchina e quella albanese (entrambe poco sopra ai 400 mila residenti).
Se guardiamo dal punto di vista delle lingue parlate, con i dati del ministero del lavoro, la prospettiva non cambia: al primo posto il romeno, con quasi 800mila madrelingua, seguito da arabo (oltre 475mila parlanti) e albanese (380mila). Chiaramente le numerose ondate migratorie hanno comportato contaminazioni non solo linguistiche, ma anche di tipo culturale.
Il cibo, ed i prodotti di largo consumo più in generale, sono fra le principali evidenze. In prima battuta il contatto genera maggiore contaminazione come supportato dai seguenti numeri.
Il 40% degli stranieri ha cucinato piatti tipici per amici italiani e il 37% ha insegnato loro le proprie ricette. Il 42% degli italiani che mangia fuori casa va in ristoranti etnici e il 24% lo fa con regolarità, inoltre, il 75% acquista prodotti etnici.
Soprattutto gli ultimi dati hanno un impatto sull’offerta di prodotti che oggi è sicuramente più esotica di una volta; tuttavia c’è un altro aspetto che vorrei sottolineare, quello culturale più esteso. Se è vero che gli italiani comprano prodotti diversi, tendono a farlo approcciando il commercio, nel senso più ampio del termine, in maniera consueta, o con la naturale evoluzione dei tempi, Gli stranieri invece possono avere abitudini di acquisto molto diverse, sia nell’informarsi sui prodotti, nel valutarli e nel processo di acquisto vero e proprio. Un esempio banale è il diverso uso dei dispositivi digitali che avviene in Asia rispetto all’Europa, fra i tanti aspetti che si possono citare. Se la percentuale di “stranieri” continuerà ad aumentare potrebbe essere necessario per il retail cambiare non solo l’assortimento, ma anche la cosiddetta customer experience.
Un dato americano è illuminante: nel 2050 i bianchi non ispanici saranno per la prima volta la minoranza dei clienti; la generazione Z sarà quella che segnerà il passo finale dove le minoranze, di fatto non saranno più tali. Circa il 70% di tale generazione (e Millennials) ha una forte propensione verso brand che premiano diversità ed inclusività.
Nel nostro paese la transizione potrebbe essere meno acuta, ciò nonostante sarà sempre più importante approcciare le diverse culture da ogni aspetto del customer journey: offerta, comunicazione, strumenti e tempi di comunicazione che tengano conto delle diverse facce della società moderna.
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