Meglio un dato oggi o un cliente domani?

Immaginiamo di fare una campagna promozionale dove in cambio di informazioni offriamo l’opportunità di avere un prodotto esclusivo. Invitiamo potenziali clienti a registrarsi su un nostro sito ed in cambio di alcuni dati di profilazione diamo loro un codice per accedere alla prova del prodotto. Dove? Magari in un temporary shop!

La nostra agenzia trova ed allestisce il punto vendita, ci aiuta nel contratto di locazione, prepara il sito web e gli altri dettagli della campagna. Quando finalmente arriva il giorno della presentazione i potenziali cliente varcano la soglia del negozio e si pone un problema: dobbiamo misurare loro la temperatura e controllare che abbiano diritto ad accedere. Se un domani ci fosse un caso positivo di covid sarebbe opportuno avere anche le informazioni di contatto di tutti coloro i quali erano presenti alla presentazione. Chi raccoglie e gestisce questi dati? Chi ha la responsabilità della sicurezza della location? Il proprietario dei locali? L’agenzia che supervisiona e controlla con il proprio personale? L’insegna che in ultima analisi è quella che vuole i dati del cliente, ma volentieri eviterebbe di gestirsi quelli sanitari (norme covid)?

In questa situazione il dato è un onere, almeno quello sensibile e personale sulla temperatura corporea e l’eventuale tracciatura per gli avvisi futuri. Idealmente sono informazioni che ogni attore vorrebbe non doverlo avere e gestire. Ma quando i dati sono un valore? Ovvero in quasi tutti gli altri casi?

Pensiamo ai pagamenti digitali in negozio. Pensiamo ad un nostro cliente che effettua i suoi acquisti e poi in cassa paga con il telefono. I dati della transazione ora sono visti dal retailer, da chi gestisce il wallet del cliente e, ad esempio, dalla carta di credito associata a quel pagamento. In questo caso la guerra non è più per non doversi sobbarcare l’informazione, ma piuttosto per averla, e tutti e tre la hanno. Chiaramente l’insegna ha dalla sua più dati, come la specificità dello scontrino e dei singoli articoli acquistati. Di contro gli altri attori hanno visibilità degli acquisti anche negli altri negozi (o più correttamente degli acquisti quando effettuati con pagamento digitale). L’aspetto saliente è che accettando questa forma di pagamento condivide parte del valore intrinseco dei dati con un’altra azienda. Questa un domani potrebbe essere in una posizione tale da poter proporre iniziative promozionali mirate al cliente, in concorrenza anche al retailer stesso e proprio (anche) grazie a tali informazioni.

Sto dicendo che sconsiglio alle insegne l’uso di pagamenti digitali di terzi? Assolutamente no, offrono un mondo di benefici, dalla comodità per il cliente, alla possibilità ad esempio di inserire schemi di finanziamento automatici gestiti direttamente dalle fintech. Voglio solo mettere l’accento su chi ha l’onore, o l’onore, di trattare i dati in molte situazioni odierne. Un bene prezioso che va tenuto in debita considerazione e gestito come l’asset aziendale che è.