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Nel 2019 Starbucks lanciava Deep Brew, come raffronto ChatGPT arriverà a fine novembre 2022. Una piattaforma AI che oggi gestisce inventario, personalizza offerte e prevede dove aprire il prossimo negozio. Risultato? Un aumento del 30% del ROI e un incremento del 15% nell’engagement dei clienti. Non male per una caffetteria.

Ma prima di pensare che basti installare un algoritmo per stampare soldi, fermiamoci un attimo. Perché la storia di Deep Brew contiene due spunti da tatuarsi sul braccio parlando di AI.

Primo: oggi può essere il tuo “2019” per il 2030

Starbucks non si è svegliata una mattina del 2019 decidendo di fare intelligenza artificiale. Ha iniziato nel 2011 con una semplice app di loyalty. Niente di rivoluzionario: raccogli stelline, ricevi un caffè gratis. Ma quell’app è diventata un hub dove i clienti cercavano menu, orari, negozi. E soprattutto: generava dati. Tanti dati.

Per otto anni, Starbucks ha accumulato informazioni su cosa bevevano i clienti, quando, dove e con quale frequenza. Quando nel 2019 ha visto McDonald’s acquisire Dynamic Yield per personalizzare i drive-thru, non ha dovuto partire da zero. Aveva già le fondamenta: 17 milioni di utenti attivi sull’app e una montagna di dati pronti per essere processati da Deep Brew.

La lungimiranza paga. Chi oggi raccoglie dati in modo strutturato, anche senza AI particolarmente sofisticata, sta costruendo il proprio 2030. Perché l’intelligenza artificiale si nutre di dati come un macina-caffè si nutre di chicchi: senza materia prima di qualità, ottieni polvere meno utile.

Secondo: l’AI ama la scala (e i numeri grandi)

Starbucks serve 100 milioni di clienti alla settimana in 80 mercati. Un quarto delle transazioni passa dall’app. Questo significa milioni di punti dati ogni giorno: ordini, orari, preferenze, geolocalizzazione, meteo, eventi locali.

Deep Brew non è magico. È un motore predittivo alimentato da 30 milioni di connessioni digitali che incrocia abitudini individuali con variabili esterne. Ma cosa succede se hai 10 negozi e 5.000 clienti al mese? L’AI può comunque aiutare, ma aspettarsi gli stessi risultati di Starbucks è come pretendere di correre i 100 metri come Usain Bolt dopo tre settimane in palestra. I modelli predittivi hanno bisogno di volumi per essere accurati.

Questo non significa rinunciare. Significa essere onesti: se non hai scala, l’AI deve essere mirata. Pochi use case, ben definiti, dove anche con dati limitati puoi ottenere valore reale. Magari non ottimizzi l’intera supply chain, ma puoi prevedere meglio i picchi di vendita del weekend. Magari non personalizzi offerte per milioni di utenti, ma segmenti meglio i tuoi migliori clienti.

Il caffè non mente

Oggi alcuni retailer guardano all’intelligenza artificiale come alla soluzione magica per competere con i giganti. Ma la vera magia non è nell’algoritmo. È nella pazienza di costruire fondamenta robuste. Perché l’AI, esattamente come l’espresso, è più buona se la materia prima è eccellente.

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