Offerta multicanale e digitale non possono e non devono essere progetti di innovazione.

Piuttosto parte integrante ed indistinguibile del marchio.

La storia è questa: un amico recentemente si è recato in un insegna a comprare un capo di abbigliamento specifico, incentivato da un’offerta on-line a 19,99 euro. Arrivato in negozio il prodotto è disponibile e corrisponde alle sue aspettative, a questo punto è convinto e motivato all’acquisto. Gira il cartellino ed il prezzo è 49,99 euro! Estrae il telefono ed immediatamente controlla sul sito del retail, proprietario del negozio stesso. Il costo è sempre 19,99 euro ed è disponibile per il ritiro in negozio. Effettua l’acquisto on-line in-store, scusate il gioco di parole, e dopo poco si reca in cassa per ritirare il suo capo d’abbigliamento. Come è possibile?

Il punto non è tanto l’errore, che per fortuna spero non accada così spesso, quanto il ragionamento che induce. Il mio amico commentava che potrebbe essere la pressione data dai colossi on-line che spingono ad aggiustamenti di prezzi continui sull’e-commerce a discapito dei punti vendita fisici, anche quando questi siano sempre dell’azienda stessa. La considerazione sua è se il gioco vale la candela. Lascio a chi mi legge la valutazione in merito, vorrei invece analizzare la questione da un altro punto di vista. Immaginiamo che un ipotetica catena abbia negozi in tutta Italia ed un certo prodotto abbia un cartellino di 49,99 euro, ma in Piemonte ed in Molise (due regioni completamente a caso) il prezzo sia di 19,99 euro. Plausibile? Non credo, poiché le politiche di prezzo non sono regionali per i brand, salvo alcuni casi specifici e particolari che non ci interessano qui. Non può neanche essere un errore poiché il processo di generazione dei cartellini è univoco. Sarebbe impensabile immaginare che un’entità geografica dell’azienda operi in maniera disgiunta dal resto. Penso che per la multicanalità ed il digitale debba essere la stessa cosa. Non intendo dire che necessariamente il prezzo debba essere il medesimo. Ad esempio i convenience store hanno normalmente un premium price rispetto al grande supermercato della stessa insegna, e la differenza è proprio nella diversa offerta dello stesso prodotto. Nel caso in oggetto però la discrepanza è enorme, oltre il doppio del prezzo. Aciò si aggiunga l’ironia della possibilità di ritirarlo subito in negozio, azzerando un beneficio specifico del punto vendita.

Se l’ecommerce fosse una regione dell’insegna ci sembrerebbe non solo sconsiderato, ma anche impensabile. Poiché si tratta di un canale digitale lo guardiamo da un altro punto di vista, e qui arrivo al nocciolo della questione. Nel 2020 il digitale, sia esso sito, e-commerce o app, non deve essere disgiunto dalla filiera commerciale, è semplicemente un luogo di vendita come gli altri, per quanto virtuale. Nessuna direzione commerciale metterebbe due prezzi così diversi in due negozi adiacenti, anzi, grazie all’uso dello smartphone in due negozi coincidenti!

Quando però il digitale è ancora un progetto speciale c’è il rischio che queste cose succedano, ahimè non è questo il problema più grande. Anche se non ci sono errori o discrepanze non gestire il digitale come parte integrante e costituente dell’insegna vuol dire avere una visione non attuale del mercato. Il consumatore da tempo ha dimenticato la distinzione fra fisico, digitale, cosa è su uno scaffale o su uno schermo di un dispositivo. Per lui sono semplici modi diversi per interagire con lo stesso brand o insegna commerciale. Una volta il digitale nasceva come progetto speciale in capo al marketing, all’IT o più recentemente sotto l’egidia del CDO, ne parlai proprio su queste colonne. I tempi sono maturi perché venga normalizzato completamente all’interno dei processi operativi e commerciali del retailer.