Proseguiamo il nostro percorso sull’uso della tecnologia di riconoscimento facciale in negozio. Fino a questo momento, in questo percorso immaginario che va dal marciapiede sino alla cassa, abbiamo visto come usarla all’esterno e per la vetrina del negozio.

Siamo adesso entrati all’interno del punto vendita, o meglio il nostro cliente, o potenziale tale, lo ha fatto, e qui troviamo un’altra possibile applicazione, particolarmente interessante per i clienti del lusso: il riconoscimento dei big spender. In questo mercato la clientela top ha un’importanza particolare e viaggia molto. Il cliente da gestire con un occhio di riguardo può essere noto allo store manager di un particolare negozio, ma essere sconosciuto a quello di un altro paese. Identificare questa fascia top di clientela, anche anonimamente, semplicemente caratterizzando un volto come appartenente ad una categoria VIP per allertare il personale al suo ingresso è una capacità che molti brand vorrebbero avere. Si tratta di uno della tecnologia che rientra in quei casi che suscitano controversia. Di fatto avviene una classificazione a priori e potrebbe esserci un impatto sulla privacy, sebbene mitigato dalla fatto che l’identificazione sia solo di categoria di cliente e anonima. Il beneficio è di immediata comprensione e fornisce un valore difficilmente replicabile con altri strumenti. Da notare che se l’eventuale carta fedeltà può svolgere lo stesso compito, il suo impiego avviene tipicamente al termine del processo di acquisto (sempre che ci sia), non è dunque un’alternativa valida per il riconoscimento preventivo.

Rispetto ad altre tecnologie che potrebbero svolgere la stessa funzione, penso al riconoscimento di un cellulare (sfruttando l’indirizzo fisico della scheda Wi-Fi o Bluetooth) ha il vantaggio di avere meno casi di fallimento come: cambio del telefono, Wi-Fi o Bluetooth spenti, telefoni di nuova generazione che variano l’indirizzo proprio per proteggere la privacy del proprietario. Di contro l’uso di accessori che mascherino il viso ne potrebbe limitare l’efficacia.

Un punto importante da sottolineare è che si tratta di una soluzione nella quale non serve l’esplicita partecipazione attiva del cliente. Ad esempio l’uso di una carta fedeltà all’ingresso è una modalità ipotizzabile, senonché richiede la volontà da parte del clienti di farsi identificare e compiere un gesto specifico (strisciarla, avvicinarla ad un lettore o presentarla ad un assistente) perché ciò avvenga. Lo stesso si potrebbe dire del riconoscimento facciale, chiedendo la persona di guardare con una giusta angolazione verso una telecamera e togliendo eventuali cappelli o occhiali, ciò aumenterebbe ancora di più l’efficacia del processo, introducendo però le stesse limitazioni del caso precedente vanificando il vantaggio di questa tecnologia, ovvero che avviene senza percezione da parte del cliente. Quest’ultimo fatto può essere visto sia come evitare uno sgradevole senso di invasività del brand che per evitare passaggi che non arricchiscono l’esperienza di visita del negozio da parte del cliente, anzi che possono macchinosamente diminuirla.

Se dal lusso passiamo alla grande distribuzione di massa, l’esigenza sull’ingresso cambia radicalmente. In questo scenario più interessante è capire la tipologia di clientela (età, sesso, famiglia, singolo acquirente, ecc…) che visita il punto vendita anche per fascia oraria o momento della settimana. Ciò apre ampi scenari di personalizzazione sia di presentazione dell’offerta che di comunicazione e promozione all’interno del negozio.

Manteniamo l’esempio della GDO perché bene mostra il beneficio specifico del riconoscimento facciale. Grazie alle telecamere vengono prodotte delle immagini che mostrano dove si fermano maggiormente i clienti (mappe di calore) e, più o meno accuratamente, i percorsi che gli stessi compiono all’interno del negozio. Sto parlando di immagini video senza l’identificazione della persona, mappe simili possono essere prodotti anche con rilevatori di Wi-Fi (per i clienti che lo hanno acceso). Dove può risiedere la peculiarità del riconoscimento facciale? Se con le telecamere non guardo più le persone come numero generico, ad esempio 12 nell’area verdura biologica, bensì 12 identificativi precisi, posso avere dati più accurati sul loro comportamento. Ancora una volta ricordo che si tratta di riconoscimenti anonimi (non posso associare nome e cognome) ed univoci (se la stessa persona compare in un altro punto del negozio posso sapere che è la stessa che un certo tempo prima era all’ingresso o ai surgelati). Con le sole mappe di calore generiche posso stimare solo un tempo di permanenza medio e non accurato; come faccio a sapere se le persone che vedo dopo 10 minuti sono tutte nuove o i medesimi che stazionano da tempo?

Tracciando singolarmente ogni individuo posso calcolare precisamente quanto sta in negozio. La misura non solo è molto più reale, offre opportunità impensabili. Potrei riscontrare che i giovani compiono la spesa in 17 minuti, con pochi scostamenti, mentre le famiglie con bambini hanno una media di 28 con un range dai 7 a 54 minuti). Una certa tipologia di clienti sosta molto al banco dei surgelati, un’altra ignora quasi completamente l’isola delle promozioni e ha una permanenza elevata al banco della gastronomia servita. Sono dati anonimi è vero, è altrettanto vero che grazie alla carta fedeltà l’insegna non solo identifica il cliente, lo può inserire in un cluster. Ecco quindi che il dato sui trentenni maschi che visitano l’area enoteca per lungo tempo (ipotesi di esempio non suffragata da alcun dato in mio possesso) la posso utilizzare per fare poi una comunicazione od una promozione mirata sui possessori di carta di quel segmento, o addirittura sui loro terminali di self-scan.

Ci fermiamo qui per questa volta, torneremo poi la prossima parlando di interazione sui touch point per avvicinarsi alla cassa.