Riprendiamo il discorso dell’uso del riconoscimento facciale in negozio. Abbiamo detto che è un tema su cui le opinioni sono molto diverse e a volte anche molto estreme. C’è interesse, diffidenza e anche timore. Sicuramente non sempre chiarezza.

Per provare a dipanare un poco la matassa il mese scorso abbiamo iniziato a vederne le possibili applicazioni in un percorso virtuale che parte dall’esterno del negozio. Ci eravamo lasciati proprio qui e proseguiamo con l’utilizzo in vetrina. Come Digital Club / Retail abbiamo visto almeno due casi d’uso distinto: la misurazione delle reazioni dei clienti ed il tasso di conversione.

Il primo a sua volta ha almeno due gradi tecnologici di profondità. Il solo tracciamento degli occhi consente di capire su quali punti si ferma lo sguardo dei clienti, o potenziali tali. Nel caso dell’abbigliamento potrebbe dare indicazioni se siano i pantaloni o la giacca ad attirare maggiormente l’attenzione. Esistono ad esempio dei manichini che hanno una telecamera all’uopo incorporata, la quale guarda dagli occhi stessi del manichino. Si tratta di un applicazione con un certo grado di maturità, l’eventuale complessità risiede nel tenere traccia di come è vestito il manichino, per avere poi nel tempo un’associazione puntuale fra i dati forniti ed i relativi capi di abbigliamento. Va da sé che l’uso non è limitato alla vetrina, potrebbe avvenire all’interno del negozio ed in altri contesti la stessa tecnologia viene utilizzata per riscontrare l’efficacia dei manifesti pubblicitari, cartacei o digitali, come ad esempio avviene alla stazione centrale di Milano.

Raccogliendo invece l’immagine dell’intero volto e sfruttando algoritmi di intelligenza artificiale alcune soluzioni si propongono di valutare l’aspetto emotivo. In altre parole dire se quando il cliente guarda una determinata vetrina è interessato, annoiato, eccitato, disgustato o altro. Più ancora di interesse è in realtà come cambia lo stato d’animo guardando il prodotto esposto. Rispetto alla precedente applicazione qui siamo ad una frontiera più recente e sperimentale. Alcune soluzioni che abbiamo visto come Retail Club sembrano dare dei risultati buoni nel mero aspetto del riconoscimento delle emozioni. A mio avviso manca però una base dati di sufficiente grandezza per dire se siamo ancora in una fase iniziale o se l’efficacia è davvero elevata nei contesti di uso reali (che sono diversi da quelli delle dimostrazioni tecnologiche). L’altro punto è quanto questo genere di informazioni può essere poi convertita in decisioni di business. Sempre perché è un’applicazione molto recente non abbiamo visto ancora casi dove ciò avvenga. Nella forma più banale possiamo distinguere fra emozioni positive e negative per dare una sorta di giudizio qualitativo, non è detto però che le stesse poi abbiano una correlazione diretta con le vendite. Insomma si tratta di una di quelle applicazioni dove c’è ancora molto da fare e da sperimentare prima di capire chiaramente se genera ritorni sull’investimento e se ciò possa avvenire sempre o solo in alcuni ambiti molto specifici.

Tutto ciò per quanto riguarda le reazioni dei clienti, passiamo ora al tasso di conversione, ovvero quanto una vetrina è efficiente nell’attrarre i passanti all’interno del negozio. Qui si tratta di avere una telecamera che identifica i volti in forma anonima, ovvero come abbiamo detto precedentemente assegna ad ogni volto un codice univoco di riconoscimento che identifica quel volto in maniera puntuale, anonimo poiché non abbiamo informazioni identificative della persona. La tecnologia qui offre soluzioni abbastanza accurate a patto che la telecamera sia posizionata correttamente, l’angolo di incidenza ed eventuali rifrazioni possono diminuirne sensibilmente l’affidabilità. In questo modo rileviamo un insieme di volti (codici) che guardano la vetrina. Posizionando un’altra telecamera affinché rilevi correttamente il viso di chi entra in negozio possiamo generare un secondo insieme di volti (codici). Confrontando i codici di questi due gruppo abbiamo una metrica di quante persone che hanno guardato la vetrina sono poi effettivamente entrate in negozio. Analizzando poi questi dati su una scala temporale e con diversi allestimenti ecco che i dati diventano più interessanti poiché consentono al retailer di capire quali vetrine convertono meglio. In uno scenario un po’ azzardato, del resto questo è un esercizio teorico e a budget illimitato nelle premesse, si potrebbe anche misurare quali “emozioni” convertono meglio incrociando questo caso d’uso con il precedente.

Ci fermiamo qui per questo mese, le opportunità sono già più incoraggianti della volta precedente. Far entrare i clienti in negozio è pero solo un passo del nostro percorso ed il mese prossimo vedremo come proseguire.