L’intelligenza artificiale applicata al retail offre varie applicazioni, fra queste il riconoscimento facciale è una di quelle che genera le reazioni più contrastanti e a volte confuse. Si tratta di un tema che come Digital Club / Retail abbiamo già toccato in passato e che periodicamente incocciamo, vuoi per nuovi casi d’uso, vuoi per declinazioni diverse.

Il suo uso è ancora abbastanza limitato e quando ci confrontiamo con i retailer le posizioni sono spesso molto radicali. Ci sono forti dubbi sulla legalità, sull’impatto emotivo dei clienti, sulla reale efficacia, sui costi di implementazione ed in ultima analisi sulla capacità di portare reali benefici.

In effetti si tratta di una applicazione più complessa di come appare in superficie, dal punto di vista tecnologico si tratta di acquisire delle immagini, elaborarle estraendone informazioni e avviare dei processi in base a questi dati. Proviamo a capire meglio senza avere la velleità di essere esaustivi perché, come accade con le nuove tecnologie digitali la realtà è in forte evoluzione, frammentata ed anche coperta da una patina lucente del marketing di chi offre queste soluzioni. Ipotizziamo dunque di avere un budget illimitato, cosa possiamo davvero fare? Proviamo a camminare dall’esterno del negozio fino ad arrivare in cassa: vediamo dove il riconoscimento facciale possa essere utilizzato cercando di approcciarlo sia dal punto di vista delle applicazioni richieste del retailer che di quelle promesse dalle aziende dell’offerta.

Una prima domanda è quella di usare le telecamere per misurare il passaggio davanti ad un negozio, si tratta quindi di dispositivi da collocare all’esterno. Su questo impiego vi sono remore sia di privacy che tecniche, queste ultime di più difficile gestione rispetto alle prime. Affrontiamo il tema legale che è spinoso e genera molte titubanze. Il riconoscimento facciale è un algoritmo (più o meno preciso) che partendo da un volto genera un identificativo unico costruito su una serie di parametri del viso. A titolo di esempio dando la mia faccia in elaborazione questa potrebbe generare l’identificativo FC439D743R2D2AC3P0 e questo codice dovrebbe uscire ogni volta che il mio volto viene visto dal sistema. Quanto ciò avvenga veramente, cioè che al mio viso venga associato un codice unico e sempre quello, è alla base dell’affidabilità del sistema. La sequenza alfanumerica (in gergo un hash) “FC43…” non ha nessuna attinenza con Paolo Pelloni, essa è anonima a meno che non sia associata al mio profilo in qualche altro modo, ad esempio collegando la mia immagine alla mia carta fedeltà. Questo però deve avvenire esplicitamente con il consenso del cliente.

Diverso è il flusso video che contiene l’immagine della persona, quello ha degli aspetti rilevanti per la privacy. Se questo è registrato all’interno ci sono le facce delle persone le quali sono suscettibili di identificazione. Oggi esistono soluzioni che “cancellano” dal video volti o intere persone proprio per anonimizzarli, e alcuni casi d’uso sono proprio nel mondo retail. Una telecamera potrebbe riprendere quello che succede all’interno di un reparto di un supermercato mascherando però i dipendenti affinché non diventi uno strumento di controllo illecito del proprio personale. Insomma la tecnologia potrebbe essere di aiuto per l’aspetto privacy, rimane l’aspetto tecnico che in questo caso è l’anello debole. Lavorando all’esterno vi sono troppi fattori in gioco per avere delle misurazioni accettabili. Dalle condizioni meteorologiche al variare della luce solare, dalla distanza del passaggio al vestiario stagionale (cappelli, sciarpe, occhiali da sole, ecc…). Si pensi ad una persona che passaggi avanti ed indietro mentre è al telefono, se l’angolazione non è corretta non è possibile avere un riconoscimento accurato quindi se ci limitiamo alla funzione di conta persone abbiamo delle numeriche non attendibili con ampi errori introdotti dai percorsi non lineari, il conteggio multiplo delle stesse persone e altri fattori simili. In sostanza per misurare il transito, ovvero il traffico di persone davanti un negozio, oggi siamo ancora lontani da soluzioni ideali. Stando in tema, alcuni stanno sperimentando soluzioni come “sniffer” Wi-Fi ovvero dei ricevitori che intercettano quanti telefoni passano vicino al negozio. Anche in questo caso però è difficile avere informazioni di qualità. Se quasi tutti hanno uno smartphone, meno hanno il Wi-Fi sempre accesso e comunque l’identificazione univoca non funziona sempre.

Fino a qui la situazione non è esaltante, il prossimo mese le notizie migliorano, rimarremo all’esterno del negozio e vedremo come si possa rispondere efficacemente ad una esigenza dei retailer.