Nel mondo online c’è un modello abbastanza consolidato di funnel di vendita: non è l’unico, ma è sicuramente il più diffuso. Si basa sul permission marketing che con un percorso guidato porta un potenziale cliente all’acquisto.
Perché avvenga una vendita devo avere la fiducia del potenziale cliente, e per guadagnarmela devo dimostrare di meritarmela. Spesso si tratta di una serie di contenuti gratuiti o di un acquisto simbolico che provi la bontà dell’offerta. Prima però devo ingaggiarlo – con la partecipazione ad una comunità o l’iscrizione ad una newsletter – e poi invogliarlo ad entrare nel mio funnel mettendo sul piatto un elemento di valore (detto lead magnet).
Come ottengo il primo contatto con questo potenziale acquirente al termine del percorso? Tramite un approccio di comunità, social e molto spesso con della pubblicità online mirata. Possiamo copiare questo approccio e portarlo nel mondo dei punti vendita? Alcune dinamiche non sono poi così distanti: devo far entrare il cliente (drive to store), conquistarne la fiducia e poi chiudere la vendita. Cosa si può mutuare dal mondo virtuale a quello fisico? Avviene già?
Nel primo paragrafo ho esposto il percorso di vendita, che in gergo si chiama funnel (imbuto in inglese), in ordine cronologicamente inverso, dalla vendita a ritroso. Proviamo a fare lo stesso in negozio. Come arrivo non solo ad aumentare le vendite, ma a misurarle in funzione del numero di potenziali clienti motivati che transitano nel punto vendita? Quale può essere il passaggio per guadagnare reputazione e credibilità?
Nel mondo alimentare mi viene in mente l’assaggio del prodotto in loco. Il campione dimostrativo è utilizzabile anche in altri ambiti: il ritaglio di stoffa nell’abbigliamento (e volendo nell’arredo), il campioncino di profumo o cosmetico, ecc.… Sullo stesso piano valuterei il test sul campo di un prodotto, dalla banale prova di una calzatura all’analisi della camminata per selezionare il prodotto più consono o la prova di un aspirapolvere. Sono tutti esempi di come approfondire la conoscenza del prodotto da parte del potenziale acquirente e/o di dimostrare la competenza ed il valore del brand in quel settore.
L’importante è che siano attività “misurabili”, che diano cioè la possibilità di tracciare le due fasi del percorso e capire quanti di questi potenziali clienti si “presentino poi in cassa”. In questo modo posso verificare come operando su questo stadio di “campione” variino i risultati di vendita finali.
Come coinvolgo il mio visitatore e lo motivo a provare il prodotto? All’interno del negozio posso utilizzare schermi, corner dedicati e/o interattivi. In alcuni casi devo anche spiegare bene i benefici che si ottengono nel partecipare a questo stadio a prescindere dal fatto che poi si faccia l’acquisto collegato. Ecco delineata l’essenza del permission marketing: ad ogni azione del cliente ci deve essere un riconoscimento di valore della controparte relativo solo a quella specifica azione. Meglio ancora se riesco a far entrare il cliente nel punto vendita già motivato a quell’azione. Il che ci porta ad un passaggio chiave: come faccio il drive to store? Ovvero come alimento la parte iniziale e più larga dell’imbuto?
Posso usare un imbuto più grande, come un programma fedeltà grazie al quale, tipicamente in cambio di sconti, oltre a tracciare le attività del cliente creo un canale diretto di comunicazione con lui. Dalla mera affiliazione, ed usufrutto in cassa, posso studiare delle azioni propellenti verso il mio funnel di vendita. Via mail o app posso incentivare l’ingresso in negozio spiegando quale particolare beneficio troverò, magari “riservato” a lui e/o limitato nel tempo in modo da creare un senso di personalizzazione ed urgenza. Ciò però si limiterebbe a chi è già membro del programma fedeltà, tipicamente si tratta di persone che sono già clienti anche se magari solo occasionali. Cosa altro possiamo attuare per attrarre un bacino più ampio e non già noto?
La soluzione più classica è la pubblicità, che oggi può essere fatta in maniera molto mirata grazie alla profilazione accurata che il digitale porta in dote. Posso così rivolgermi al cliente con messaggi molto specifici, particolarmente efficaci perché coerenti sia con il passo successivo del mio percorso che con il pubblico al quale sono indirizzati.
Non è però l’unica possibilità: i marketer più moderni e creativi hanno saputo in questi anni trovare nuove idee per far conoscere il brand e portare i clienti in negozio. Cito tra molti MyMuesli – la catena tedesca di e-commerce poi atterrata sul fisico – che fa un buon mix di marketing fra i due canali instaurando inoltre collaborazioni con associazioni sul territorio. Ad esempio per un club di amatori di mountain bike ha creato appositamente per loro il muesli mix, alimentando così (chiedo venia per il gioco di parole) anche il proprio imbuto!
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