Sono sei anni che ci occupiamo di innovazione digitale nel mondo retail, guidati dalla rivoluzione che la trasformazione digitale ha rappresentato e sta rappresentando. Abbiamo dibattuto del negozio come show-room, del negozio come teatro della marca, del negozio come parte di un percorso di acquisto del cliente. Ascoltato la viva voce di leader di mercato e la loro esperienza nel realizzare app, proximity marketing, programmi di loyalty, mobile payment, riconoscimento facciale e altre tecnologie. Ci siamo chiesti come davvero deve essere realizzata l’omnicanalitá e come le aziende debbano organizzare i propri reparti ed i propri processi per soddisfare un cliente molto diverso da quello di soli 10 anni fa.

A che punto siamo? Questo percorso trasformativo è ormai maturo e di conseguenza anche il Retail Club deve ripensarsi? La risposta non è così immediata, anche se non nascondo che stiamo pensando ad un’evoluzione della comunità. Non credo che al lettore interessi come ci chiameremo (anche il cambio di nome è in discussione!), quanto con quale approccio porsi è “dove siamo arrivati” nella trasformazione digitale.

C’è ancora bisogno del Retail Club? Dobbiamo ancora capire o il grosso si è già compiuto?

Partiamo da alcune considerazioni: il negozio non è morto, però sono morti diversi dei vecchi negozi, e molti altri di quella generazione non se la passano bene. Lo abbiamo visto negli ultimi anni, dove svariati retailer hanno chiuso un numero importante di punti vendita mentre nello stesso tempo investivano per ammodernare (o aprire ex-novo) negozi con concept più attuali. Luoghi che non cercano più di competere con l’online, piuttosto complementari ad esso, anche perché oggi quale delle maggiori insegne non ha una presenza virtuale importante?

Realtà dove visito il negozio, provo alcuni prodotti, arricchisco la mia esperienza di cliente con il digitale e magari perfeziono il mio acquisto sul sito del brand non sono più solo nelle presentazioni di chi vende tecnologia, ma nelle strade delle nostre città.

Nonostante ciò la trasformazione digitale è lungi dal dirsi attuata, i format di successo non sono ancora chiari e il fermento è ancora ad altissimi livelli. Non solo: la tecnologia è il driver principale di cambiamento, non la cifra di esso. Il suo mero utilizzo difatti porta raramente a ritorni sugli investimenti significativi anche laddove ci sia il cosiddetto effetto “Wow”. Questo genera interesse e visibilità nella comunicazione (“buzz” volessimo continuare ad usare parole tipiche) il quale però non sempre si converte in vendite e comunque ha una certa obsolescenza come la tecnologia stessa.
L’innovazione deve essere quindi più profonda, sfruttare le possibilità offerte dal digitale per ripensare, anche drasticamente, i prodotti, i processi e l’interazione con il cliente.
Detto altrimenti la trasformazione digitale è arrivata a maturazione, poiché abbraccia tutto e tutti a trecentosessanta gradi, ma soffia ancora impetuosa.

Prendendone atto all’interno del Retail Club, o come si chiamerà, guarderemo con più interesse non solo a esperienze dirette dei retailer, ma anche ad approcci metodologici all’innovazione e a nuove discipline che nascono per supportarli. Del resto una forte carenza è nelle competenze digitali, e capire se e come dare il nostro piccolo contributo. Una sfida ancora più impegnativa che affrontiamo con lo stesso entusiasmo dei primi giorni.