Nel mese di aprile sono successe tre cose in qualche modo collegate fra di loro. Ad un importante convegno ascoltai il presidente di un gruppo della GDO che argomentando sull’innovazione disse che a lui davano del moderno perché non si limitava a fare volantini e raccolte punti come molti altri. Uscire da questa logica è già innovazione di per sé. La raccolta punti non è una loyalty anche se condivide con questa alcuni fattori come invogliare il ritorno all’acquisto premiando il cliente. Il messaggio di quel giorno fu che la raccolta punti, e non la loyalty mi preme ricordare di nuovo, è un concetto usato ed abusato.
Giriamo pagina, non solo in senso lato, e sull’ultimo numero della pubblicazione Altro Consumo trovo un articolo intitolato “Fedeli a caro prezzo”. Si tratta di un’analisi sulle carte fedeltà dei supermercati, la tabella riassuntiva riporta Auchan, Bennet, Carrefour Esselunga, Il Gigante, Pam e Panorama. Il primo dato saliente è che gli italiani sono al primo posto nel mondo, ben il 74% ne ha in tasca una. Motivo? Sconti e premi. Questo per i possessori delle carte mentre il valore principale per chi li emette sta ovviamente nella raccolta dati. Ed è proprio per questo motivo che i clienti vengono remunerati, ancor più che per la fedeltà all’insegna, seppure sia questa a caratterizzarne il nome, carte fedeltà appunto.
Il dato infatti è la cifra di quasi ogni cosa oggi, ed è sicuramente così nella grande distribuzione organizzata come in tutti gli altri ambiti retail. L’articolo in questione pone l’accento su come in realtà i benefici per i consumatori siano relativamente contenuti. Parliamo di qualche punto percentuale di sconto equivalente, o anche meno, a fronte di un corrispettivo (il dato) molto ricercato dalle insegne. Il successo di queste carte mina però questa analisi, almeno parzialmente, se nel nostro paese ci sono così tante carte evidentemente le persone sono felici di possederle ed usarle. Futuro quindi roseo? Non è detto.
Innanzitutto bisogna osservare che non tutti i programmi loyalty sono di successo, e le dinamiche della GDO non sono ripetibili in altri contesti, basti pensare all’impatto che ha la frequenza di acquisto. Se faccio un acquisto all’anno in una certa insegna, vuoi per la tipologia di prodotto, vuoi per la lontananza, è chiaro che l’appetibilità della raccolta punti scema.
Inoltre oggi non c’è ancora una grande consapevolezza del valore del dato, malgrado una colossale industria digitale (Google, Facebook, ecc…) sia nata proprio su di esso. Proprio da qui potrebbe arrivare una grande ombra, scandali come quello recente di Facebook – Cambridge Analytica hanno impatto sull’opinione pubblica che, conseguentemente, potrebbe diventare più restia a cedere i propri dati o quantomeno più attenta e selettiva.
In apertura ho citato tre cose collegate, l’ultima di questo elenco è l’incontro Retail Club sul tema del Digital Engagement anch’esso ad aprile. Qui avevamo condiviso come riuscire a raccontare e comunicare qualcosa all’interno di un mercato che si caratterizza per una bassa frequenza di acquisto al fine di riuscire a lasciare un segno sul consumatore finale: farsi ricordare e mantenere viva una relazione con esso. I programmi di loyalty se correttamente utilizzati possono essere un’ottima risposta anche oggi. La testimonianza di Unieuro a tal proposito è stata significativa, poiché i dati presentati hanno dimostrato come i risultati raggiunti abbiano ripagato gli sforzi fatti. I clienti Unieuro Club hanno scontrini medi significativamente più alti. Perché? Uno dei fattori di successo è che non si tratta di una mera raccolta punti, ma di un programma con una visione molto più ampia dove elementi di gamification e storytelling aiutano a creare un dialogo continuativo nel tempo che rafforza l’immagine dell’insegna e genera valore con la ricaduta finale sulle vendite. Gli stessi concetti erano stati poi ripresi ed estesi da Gruppo Roncaglia che aveva ben raccontato, dati alla mano, come queste iniziative abbiano un riscontro nel comportamento del cliente ed una diretta correlazione con l’ingaggio commerciale.
In sostanza il digitale è un’ottima occasione per arricchire i programmi di loyalty, si tratta di una necessita e di un’opportunità. Necessità in quanto programmi non ispirati si riducono ad essere l’ennesima carta fedeltà dimenticata nel portafogli (o addirittura a casa) con minimo coinvolgimento del cliente. Opportunità perché i programmi a punti possono costituire la forma di remunerazione ed incentivazione di progetti più ampi di interazione con il cliente sfruttando le enormi possibilità che il digitale oggi offre. Grazie ad esso è possibile mantenere viva la relazione nel tempo che intercorre fra le visite fisiche al negozio, tenere viva l’esperienza di marca ed anzi rafforzare maggiormente l’affezione.
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