Non conoscere i propri clienti è uno svantaggio competitivo che oggi non ci si può più permettere, e nella prima parte abbiamo iniziato a vedere alcuni strumenti che i retailer possono utilizzare per vincere questa sfida. I primi cinque trattati erano: scontrino, carte fedeltà, digital engagement, app e navigazione sul sito. I prossimi sono tutti collocabili all’interno del negozio fisico.

Un’opportunità che oggi diverse insegne tendono a cogliere è quella di installare dei touch-point dove interagire con i clienti o potenziali tali come totem interattivi oppure monitor dove la comunicazione visiva supporta l’esperienza di marca o arricchisce l’offerta con informazioni aggiuntive. Perché questo sesto strumento diventi una fonte di dati è necessario tracciare in qualche modo l’attività di chi lo usa. Per evitare un uso passivo del touch-point a volte viene usata la gamification.

Spostando l’azione sui dispositivi già nella tasca dei clienti entrano in gioco le applicazioni di proximity marketing che tipicamente sfruttano la tecnologia Bluetooth innescata in prossimità di qualcosa. I trasmettitori, chiamati generalmente beacon, sono posizionati in zone specifiche del negozio, nelle vicinanze di un prodotto o integrati nei totem già visti. Questi beacon interagiscono con la app sul dispositivo del cliente ed al suo avvicinarsi avviano qualche forma di interazione. Nel contempo è possibile misurare grazie ad essi gli spostamenti, la permanenza in un determinato punto e l’attività svolta. I casi concreti visti dal Retail Club sono al momento ancora esigui, principalmente perché richiedono al cliente di installare una app ed avere il Bluetooth acceso, entrambi due passaggi non scontati.

Più spesso invece è accesso il Wi-Fi e questa tecnologia può essere un doppio strumento di acquisizione di dati. L’accesso ad internet offerto ai visitatori del negozio oltre ad essere un gradito servizio alla clientela può diventare una fonte di dati. Poiché la navigazione anonima non è consentita per legge, è necessario riconoscere in qualche modo chi accede al Wi-Fi. Alcuni usano la fase di autenticazione (captive portal) per comunicare messaggi promozionali, altri sfruttano questo momento per profilare più o meno accuratamente il visitatore dall’età al sesso fino ad una serie di dati più strutturati tipici delle società che offrono questo servizio come core business.

Con gli apparati più moderni che offrono connessioni wireless (access point) è possibile costruire delle mappe di calore che visualizzano gli spostamenti dei visitatori, la permanenza in alcune aree o i percorsi effettuati. Questi dati possono essere poi aggregati per periodi storici (o orari) per misurare l’efficacia di una promozione, di un touch-point o di un allestimento anche temporaneo.

In realtà ciò è realizzabile allo stesso modo usando immagini riprese da telecamere, la qual cosa ci porta al decimo strumento: il riconoscimento facciale. Esso può essere utilizzato per fornire le stesse mappe di calore già discusse, ma anche molto altro, ad esempio applicazioni di conta persone, misurazione delle code in cassa ed informazioni demografiche sui visitatori del negozio. In alcuni esperimenti si cerca di registrare anche lo stato emotivo del clienti, in particolare mentre interagiscono con un prodotto o un totem interattivo.

Questi dieci strumenti generano preziose fonti di dati che possono aiutare il retailer a raccogliere informazioni sui propri clienti, potenziali tali e su come si comportano in negozio. Un undicesimo strumento è l’incrocio di tali dati, dove secondo me risiede il più grande valore aggiunto. Entriamo in un territorio delicato che deve essere valutato attentamente, anche per gli aspetti della privacy, che però offre un potenziale salto di qualità. Ad esempio, quando si riescono a legare le informazioni sul carrello di un cliente (o l’assenza di un acquisto) e dati provenienti da altre fonti con il comportamento del cliente, il valore estraibile aumenta esponenzialmente. Associare cosa fa il cliente in negozio con la navigazione sul sito, o in app, aiuta ad avere un quadro più preciso per capire come il cliente si informa e si muove nel percorso verso l’acquisto. Questi sono solo un paio di esempi di intersezione delle informazioni. Qui però, come dicono gli anglosassoni, “il cielo è il limite”, nel senso che, a seconda dei contesti, le possibilità sono davvero vastissime. Come sanno bene i giganti del digitale che aggregano e collegano più informazioni possibili proprio per massimizzarne il valore.