“È una tecnica di marketing che opera su un’area geografica delimitata e precisa attraverso tecnologie di comunicazione di tipo visuale e mobile con lo scopo di promuovere la vendita di prodotti e servizi.” è la definizione che offre Wikipedia alla voce marketing di prossimità.

“Una delle tecniche di marketing digitale più discusse (buzz) della quale però si trovano ben poche applicazioni reali in proporzione alla copertura mediatica che riceve” è la mia personale.

Il mio primo incontro con il proximity risale al lontano 2001 in quella splendida città che è Stoccolma. Si aspettava l’avvento del 3G e si prospettavano scenari in cui l’operatore telefonico mobile ed il mondo retail potevano fare offerte sinergiche e contestuali. Ricordo ancora l’esempio di un potenziale acquirente, profilato appassionato delle opere di Julia Roberts, il quale transitando vicino a Blockbuster (!) avrebbe potuto ricevere un SMS sul suo telefono (gli smartphone erano lontani) per entrare in negozio e noleggiare Erin Brockovich con uno sconto. La tecnologia, sebbene più rudimentale di quella attuale, c’era già. Sono passati 17 anni, in questo mondo l’equivalente di un secolo o più, eppure per molti è ancora uno scenario non realizzato. Come mai? All’epoca sicuramente gli operatori mobili, gli unici in grado di localizzare il pubblico, non avevano interesse a monetizzare questo dato con il rischio di mettere a repentaglio la loro fonte principale di profitto. Il timore è che l’utente sentendosi spiato, o comunque non volendo ricevere queste comunicazioni, potesse spegnere il telefono.

Facciamo un salto in un passato più prossimo, l’anno scorso al Retail Club dedicammo un incontro al proximity marketing. Grazie all’intervento di chi aveva già un’esperienza di prima mano ci confrontammo sul tema, su opportunità reali e comportamenti dei clienti. Emersero casi concreti, con precise criticità di implementazione, prima fra tutte fornire del valore sufficiente all’utilizzatore per partecipare attivamente. Non si tratta infatti del solo consenso ad essere contattato in prossimità, ma anche di scaricare una applicazione e/o avere accese alcune impostazioni come ad esempio il bluetooth. Emblematico il caso raccontato di una app di proximity collegata ad un evento/festa aziendale: “il proprietario si è messo sulla porta, se non gli facevi vedere che avevi scaricato la app non entravi”. Aneddoti a parte ricordo la difficoltà a trovare esperienze significative compiute nel mondo retail, e ad oggi non sono molte di più. Ci sono timidi e meno timidi tentativi, i casi concreti sono però molto pochi rispetto al notevole dibattito sul marketing di prossimità.

A testimonianza del grande interesse, qualche giorno fa, un’importante realtà di consulenza in ambito retail mi ha chiamato proprio per aggiornarsi su questa tecnologia. Le domande erano rivolte alle eventuali novità (innovazioni?) dal punto di vista tecnico. Sono sempre i beacon i principali dispositivi utilizzati? È cambiato il comportamento dei consumatori? E sul Wi-Fi si fa molto? Con i telefoni di nuova generazione cosa c’è di diverso? Le eventuali novità riguardano in parte l’aspetto dei trasmettitori bluetooth (beacon), oggi sempre meno alimentati a batteria e parte integrante dell’infrastruttura digitale del negozio. In questo modo diventa più semplice gestirli. Sebbene ci siano delle evoluzioni, nessuna di queste ha un impatto significativo sul tasso di adozione. Non vi sono inoltre nuovi casi importanti di uso degni di attenzione, quantomeno in quell’accezione di proximity.

Settimana scorsa sono andato al Brico per comprare dei cunei per la libreria di mio padre, quelli che avevo trovato mi sembravano troppo grandi, ho chiesto aiuto ad una persona dello staff la quale mi ha fatto vedere dove trovare quelli più indicati e poi sul sacchetto dei cunei mi ha attaccato un adesivo: “questo è il mio numero di telefono, se hai problemi chiamami o mandami una foto”. Non ne ho avuto bisogno, i primi cunei che avevo preso erano quelli giusti (!) e sono dovuto ritornare al punto vendita. Mi sono immaginato però un cliente che manda un’immagine via WhatsApp e riceve assistenza su come installare o usare un prodotto, comodamente a casa sua, sebbene l’esperto di Brico non sia fisicamente li. Il digitale avvicina il supporto al cliente, e migliora la sua esperienza. Un marketing a distanza, fatto esattamente nel momento che serve al cliente. Un marketing di prossimità (prossimità del bisogno) a distanza. Ossimori a parte la reputo un’ottima idea ed un metodo semplice di sfruttare la tecnologia per fornire un servizio utile, che come tale dà valore al cliente.

Quale è il futuro del proximity? Ancora sexy da raccontare, ma difficile da realizzare concretamente come nell’esempio del 2001? Fare previsioni in questo settore è quasi sinonimo di sbagliare sicuramente (o avere molta fortuna), per cui mi guardo bene dal farlo. Credo però che i casi di uso più efficaci arriveranno non dall’applicare quello che la tecnologia consente di fare, piuttosto dal concentrarsi su come dare un servizio nel momento e nel modo migliore. Prossimità non solo fisica, ma anche temporale, o virtuale. La tecnologia consente alle aziende di avvicinarsi al cliente metaforicamente e non solo. Se ciò viene fatto a suo vantaggio, lo stesso sarà felice di usarla, incrementando non solo il tasso di adozione, ma anche quello di fiducia e disponibilità a ricevere comunicazioni, che consentirà al retail di espandere il proprio marketing di prossimità con successo.