Le risposte alle domande che contano
Gli analytics sono un tema interessante, agli eventi del Retail Club ne sento spesso parlare, curiosamente più in conversazioni a due durante la pausa caffè, che nelle sessioni di dibattito plenario. La loro importanza è abbastanza chiara a tutti, oggi la tecnologia ha un’offerta ampia in molte direzioni e diversi venditori di soluzioni pongono particolare accento su di essi nella comunicazione.
La raccolta delle informazioni (che formano poi i cosiddetti big-data) può essere utilizzata per fornire delle risposte, quali sono allora le domande più interessanti?
Per i marketer ci sono diversi quesiti che vale la pena porsi. Uno dei primi che viene in mente è misurare l’efficacia delle promozioni e delle pubblicità. Quanto rendono per euro speso? Come posso ottimizzare i miei costi? Mutuando concetti tipici dell’e-commerce nascono altre due domande importanti. Quali prodotti i miei clienti tendono a comprare assieme? Quali opportunità di cross-sell? O di up-sell?
Sempre mutuata dal digitale è la tecnica dell’A-B testing. Ovvero implementare in parallelo due soluzioni diverse, quindi usare la misurazione per fare una scelta in base ai risultati e non ad un giudizio preventivo.
Chiaramente il prezzo è un altro fattore dove gli analytics possono fornire molte informazioni. Quale è il prezzo che massimizza il profitto? Quali sono i volumi di vendita ai diversi livelli di prezzo? Quanto influisce lo sconto sulla decisione dei consumatori?
Stesso discorso vale per l’assortimento prodotto. È possibile misurare non solo le rotture di stock reali, ma anche predire le future. Capire se il mix di offerta è coerente con la tipologia di clienti che visita un determinato negozio. Ogni rifacimento del planogramma può essere misurato accuratamente, a livello di singola corsia, scaffale o gondola.
Molte di queste domande non sono certo nuove nel mondo retail, dov’è allora che gli analytics generano così tanto interesse? Nella velocità di risposta, nel livello di dettaglio che consentono di raggiungere e soprattutto nella possibilità di combinazione di più sorgenti dati.
La velocità apre due dimensioni. La più immediata, perdonatemi il gioco di parole, è quella di avere più efficienza operativa poiché è possibile rispondere prima agli eventi ed ai trend. Ciò consente di minimizzare i problemi e cogliere maggiormente le opportunità. La seconda conseguenza dall’avere le informazioni disponibili subito è quella di poterle usare mentre sta avvenendo qualcosa, come ad esempio modificare una campagna durante il suo corso.
La tecnologia offre la possibilità di raccogliere molte più informazioni nel momento in cui succedono. Ad esempio la posizione e la movimentazione dei prodotti può essere tracciata usando dei tag RFID. Essi erano già disponibili negli anni ‘80, oggi però è possibile usare immediatamente queste informazioni in diversi modi: la gestione della supply chain, avere un inventario in tempo reale, fornire informazioni strategiche a supporto degli assistenti alla vendita, o addirittura fare un check-out automatico. Questo perché le informazioni sono molto più ricche, e quindi più utili.
Il valore dei dati aumenta esponenzialmente nell’intersezione di essi con quelli provenienti da altre fonti. Informazioni sui prodotti possono essere coniugate con quelle sui loro acquirenti. In questo caso il valore del dato non è solo quando il cliente è noto, ma anche quando lo identifichiamo in forma anonima, ovvero pur non conoscendone l’identità siamo in grado di riconoscerlo univocamente. La possibilità è offerta da diverse tecnologie, chiaramente ci sono le tessere loyalty (in questo caso il cliente è completamente identificato), il tracciamento quando il cliente usa il Wi-Fi del negozio e l’uso della App del brand. Oltre a queste modalità oggi si aggiunge il riconoscimento facciale che a differenza delle opzioni precedenti non richiede che il nostro visitatore faccia qualcosa per essere tracciato. Una volta identificato il nostro cliente, o potenziale tale, è possibile offrirgli esperienze personalizzate basate sul suo comportamento in negozio (precedente o attuale). Il passo successivo è incrociare questi dati con altri provenienti dall’on-line (sito, navigazione in app, ecc…), dove possiamo avere precedenti acquisti o manifestazione d’interesse verso alcuni prodotti o categorie merceologiche. In questo modo il concetto di omni-canalità diventa più concreto e si trasforma in un valore percepito dal consumatore. Un’altra possibilità è quella di usare questi sistemi per tracciare il cliente dal momento dell’ingresso in negozio fino all’eventuale arrivo in cassa. Tutte queste attività sono misurate digitalmente e consentono di produrre una grosse mole di informazioni sui visitatori, sul loro comportamento e sulle motivazioni d’acquisto.
Tutto questo consente di rispondere più precisamente e rapidamente a domande come, quanto funziona la mia vetrina? Quanto dura una visita media in negozio di chi fa acquisti? Quanto influisce il sito? Quali sono le attrattive di un determinato prodotto?
In conclusione sono dunque almeno due i livelli su cui si può operare.
L’aggregato di dati per estrarre informazioni a beneficio del marketer e rispondere in forma puntuale alle domande che avevamo visto all’inizio.
L’individuale per fornire al cliente un’esperienza coerente sia con le sue aspettative di marca, sia con la sua propensione di acquisto.
Nel prossimo evento Retail Club parleremo di digital engagement e di come usare le tecnologie digitali per mantenere la relazione con il cliente fra una visita e l’altra del punto vendita. Mi auguro che sia un ulteriore occasione per confrontarsi anche sugli analytics.
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